Quando lo shock diventa produttivo

Visita all'impianto di biogas della tenuta Vivarelli Colonna a Magliano in Toscana (GR) che, grazie all'accelerazione dei processi di degradazione organica dovuta all'uso della cavitazione ad ultrasuoni, ha incrementato la propria produzione di biogas del 13%

Non è il duplice filar di cipressi alti e schietti di carducciana memoria ad introdurci nei 1200 ettari di tenuta di Luigi Vivarelli Colonna che, a Magliano in Toscana in provincia di Grosseto, si occupa del recupero edilizio di immobili di pregio e gestisce l'azienda di famiglia, da secoli impegnata nella produzione di cereali e leguminose, nella coltura intensiva dell'olivo e, da alcuni anni, nell'alimentazione di un impianto di biogas da 24.000 kW al giorno. Il ferro battuto del cancello che si apre dinnanzi a noi ci conduce verso quei dolci declivi arsi dal sole che sembrano celare, quasi in un abbraccio, i quattro grossi gassificatori a membrana che contraddistinguono l'impianto.
Realizzato nel 2012, come ci precisa Luigi Vivarelli Colonna: "l'impianto quest'anno si posiziona fra il 97 e il 98% di rendimento, anche se entro il 2017 vogliamo arrivare al 99%, traguardo raggiungibile grazie alle novità introdotte che ci rendono molto soddisfatti". Ma facciamo un passo indietro. Se è vero che in Germania già venticinque anni fa si parlava di energie rinnovabili, In Italia queste sono arrivate dopo e si è potuto beneficiare sì di tecnologie già collaudate ma, nel caso del biogas, collaudate su una produzione agricola molto diversa da quella della Maremma, tanto che come Vivarelli Colonna ci spiega: "si sono resi necessari degli interventi sull'impianto al fine di rendere possibile sia l'adeguato funzionamento che l'ottimizzazione della produzione. Il più importante di questi interventi - prosegue - è stato l'introduzione della cavitazione a ultrasuoni della Weber Entec, grazie alla quale abbiamo potuto puntare sulle colture cerealicole, tradizionali di queste zone, molto più interessanti del classico insilato di mais che, per questioni climatiche, di terreno e di costi ha delle indubbie difficoltà ad essere impiegato nell'Italia centrale, per cui con queste modifiche abbiamo potuto avvalerci dell'utilizzo di colture autoctone foriere di costi notevolmente più contenuti, migliori margini e possibilità di utilizzare meglio e al meglio quello che produciamo".
"Grazie a normative approvate a livello nazionale - continua Vivarelli Colonna - abbiamo anche potuto introdurre l'utilizzo di sottoprodotti, anch'essi locali e forniti da aziende vicine o da aziende della nostra filiera: abbiamo puntato soprattutto sulla sansa e sulle lettiere dei polli da carne che sono oggetto di un apposito contratto quadro. Così facendo - sottolinea - visto che la produzione agricola non è mai costante nel tempo, possiamo integrare in anni più difficili quello che ci manca approvvigionandoci all'esterno e in anni in cui la produzione è maggiore possiamo stoccare le riserve interne garantendo un apporto costante all'impianto".
Utilizzando, oltre alla lettiera dei polli, una miscela di substrati, tra cui sorgo, fave, avena, trifoglio e loglio sorge immediatamente il problema della presenza di fibre di ovvia e difficile digestione. Come evidenzia ancora Vivarelli Colonna: "La maggior parte dei produttori di impianti hanno pensato di puntare sulla frantumazione meccanica che, a mio parere, dà risultati estremamente poco convincenti ed estremamente onerosi dal punto di vista energivoro, ossia consuma molto e rende poco. Facendo ricerche - spiega - su possibili metodi alternativi ho scoperto la cavitazione ad ultrasuoni e dopo numerosi confronti con diverse aziende produttrici ho scelto la Weber Entec".
La domanda sorge quindi spontanea: cosa ha la Weber Entec in più rispetto agli altri? Innanzitutto occorre considerare due dati fondamentali e palesi. Come Vivarelli Colonna sostiene: "il trituratore che avevamo consumava circa 80 kW, il cavitatore Weber Entec che abbiamo installato ne consuma 4,5 e se appena lo si spegne i consumi dell'impianto, in termini di sostanze immesse nell'alimentazione, aumentano immediatamente del 12 - 15%, decretando quindi con il suo utilizzo un miglioramento di efficienza dell'impianto stesso poiché si riesce a sfruttare meglio ciò che viene immesso e si riesce a estrarre molto più gas: prove in laboratorio hanno consentito di dimostrare un aumento addirittura del 13%, per cui il miglioramento è definito e percepibile in termini economici".

L'impianto, grazie alla cavitazione ad ultrasuoni, riesce a produrre dai 7.800.000 agli 8.100.000 kW netti all'anno di energia. Ma come avviene la cavitazione ad ultrasuoni?
Christian Eichhorst, ingegnere fondatore, nonché direttore generale della Weber Entec GmbH, l'azienda tedesca impegnata nella realizzazione e nella applicazione degli ultrasuoni sugli impianti di biogas ci illustra il funzionamento: "il principio di azione fisico degli ultrasuoni è il cosiddetto effetto di cavitazione che ha come conseguenza la scomposizione della struttura cellulare di ciò che è sottoposto all'azione ultrasonica. Questa scomposizione - puntualizza Eichhorst - determina un ingrandimento virtuale dell'ambito di digestione e quindi un'accelerazione dei processi di degradazione organici aumentando così la resa di biogas". Ma come avviene nello specifico il processo di disintegrazione?
Nella disintegrazione a ultrasuoni le oscillazioni elettriche prodotte da un generatore vengono trasformate da un convertitore (trasduttore elettroacustico) in vibrazioni meccaniche. Attraverso un cosiddetto sonotrodo, tali vibrazioni vengono trasmesse al mezzo circostante dove, seguendo il ritmo della frequenza ultrasonica, generano delle sovrappressioni e delle depressioni, a seconda se il trasduttore elettroacustico si trova in fase di espansione oppure di contrazione. Durante la fase di depressione nel liquido sottoposto all'azione degli ultrasuoni si creano delle microscopiche cavità che nella successiva fase di sovrappressione subiscono un collasso che libera pressioni e temperature elevate nelle aree vicine alle cavità creando forti sollecitazioni d'urto e di taglio che provocano poi la disintegrazione dei microorganismi circostanti.

 

Il presente articolo è stato pubblicato a pag. 23 del n. 4/2016 di Recycling....continua a leggere