L'amianto, il cui nome deriva dal greco amìantos = incorruttibile, detto pure asbesto, dal greco àsbestos = inestinguibile, ha avuto una mastodontica fama in tantissimi settori dell'umana operosità proprio per le caratteristiche che i suoi nomi hanno evidenziato. In effetti, la resistenza al calore, al fuoco, all'abrasione, all'usura, agli agenti chimici e biologici sono le particolarità che ne hanno fissata l'utilizzazione, insieme con la capacità fonoassorbente e d'isolamento elettrico.
Dal punto di vista mineralogico l'amianto non è un minerale ben definito come possono essere i calcari o i graniti, per esempio. è composto da un gruppo di silicati, che sono diversissimi per natura mineralogica, ma che sono accomunati dalla loro conformazione a fibre.
Questi sei materiali (in effetti, tanti sono), in ordine alfabetico hanno le seguenti denominazioni: actinolite, amosite, antofillite, crisotilo, crocidolite, tremolite.
Già da molto tempo, tuttavia, è noto che l'amianto è un materiale di una gravissima perniciosità per la salute umana con la sua facoltà di causare danni a vari organi e di provocare la formazione di tumori. Sia ben chiaro che la pericolosità non è da mettere in relazione con la natura chimica degli elementi che costituiscono i vari tipi di amianto, bensì nella comune capacità di liberare nell'ambiente (aria e suolo) fibre di dimensioni molto ridotte, da 0,1 a 10 micron (Secondo l'ipotesi di Stanton e Altri, le fibre con diametro inferiore a 2,5 e lunghezza superiore a 4 micron sono le più pericolose, perché hanno maggiore probabilità di essere inalate). Per la cronaca, già nel 1907 si era ritenuto che certe malattie fossero dovute all'amianto, però solo nel 1989, dopo l'accertamento su diversi casi, certe patologie furono collegate ad esso.
L'Italia si è dotata, benché in ragguardevole ritardo, della normativa in cui si è riconosciuta la sua pericolosità e sono puntualizzate le norme da applicare per opporsi alla sua tremenda potenzialità aggressiva. In ogni modo, la legge ha visto la luce soltanto quando la certezza che si trattava di un materiale da mettere al bando è divenuta evidente. E mentre alla Sanità si continuava a studiare e valutare gli allora ancora quasi presunti pericoli che l'amianto presentava, malauguratamente i lavoratori, che ne erano direttamente a contatto, hanno continuato, loro malgrado, a inalare fibre e a consentirne, ignari, l'insediamento nei polmoni, nell'intestino e in altri organi, cagionando danni spesso gravi e incurabili. E ancora oggi il dramma continua, perché la vicenda amianto non è conclusa.
A distanza di parecchi anni dall'emanazione del D.Lgs. n, 277/91, con il quale l'impiego dell'amianto in tutti i settori (dalle costruzioni agli impianti di riscaldamento e refrigerazione, alla coibentazione dei vagoni ferroviari, a tutto quanto ruota attorno alla vita domestica, ecc.) era vietato, i programmi di raccolta e smaltimento non hanno conseguito i risultati preventivati e sperati, infatti, secondo ricerche effettuate ad hoc, il quantitativo di manufatti contenenti amianto ancora in circolazione supera i 30 milioni di tonnellate per un volume approssimativo di 8 milioni di metri cubi.
Si dice che quando i manufatti sono integri non sono pericolosi, perché le fibre non possono liberarsi nell'ambiente aereo. Ma quale tranquillità ci può essere, specialmente se essi sono all'esterno sottoposti alle inclemenze degli agenti atmosferici (nebbia, smog, piogge soprattutto se acide, gelo e disgelo)? Indubbiamente, non c'è grande garanzia di sicurezza, perché il deterioramento può essere in continua progressione.
Una buona quantità di RCA (Rifiuti Contenenti Amianto), correttamente imballata, ha preso la strada delle discariche convenientemente attrezzate (i registri di carico potrebbero dirne il peso e la volumetria) ed è stata regolarmente ricoperta da materiale bene selezionato. Mentre una quantità assolutamente non quantizzabile è stata sotterrata in discariche comuni, certamente autorizzate, ma non per ricevere quel tipo di rifiuti. Per di più, non si deve dimenticare che molti RCA sono finiti nei fossi di guardia delle strade, scaricati nei corsi idrici superficiali o in mare, rovesciati nei declivi montani, abbandonati nel fitto dei boschi, seppelliti in campagna.
Alternativa alla discarica è la soluzione che prevede il trasporto altrove, dopo la necessaria messa in sicurezza, passando la patata bollente ad altri... comprensibilmente a pagamento.
Comunque, nel D.M. n. 248 del 29 luglio 2004, che porta il titolo "Regolamento relativo alla determinazione e alla disciplina delle attività di recupero dei prodotti e dei beni d'amianto e contenenti amianto", si analizza, tra l'altro, la possibilità di risolvere il problema dello smaltimento dei RCA tramite un trattamento che lo renda innocuo e, se possibile, anche riutilizzabile. Con quest'affermazione ci si riferisce a quei processi che portano al suo inglobamento e alla sua stabilizzazione, bloccando sul nascere la dispersione delle fibre nell'ambiente aereo oppure a quelli che attuano una trasformazione vera e propria, mutandone la costituzione chimico-mineralogica e rendendolo reimpiegabile sotto un aspetto totalmente diverso come materia prima secondaria. Ovviamente, il discorso non si estende a tutti quei RCA per i quali il recupero è troppo costoso.
Per tutti gli altri, qualsiasi sia la natura mineralogica dell'amianto, i trattamenti si possono sintetizzare in due tipi di processi: processi che riducono la libertà di emissione di fibre, senza variare la struttura cristallina del materiale, e processi che variano in toto tale struttura, trasformandola in qualcosa d'altro e azzerandone la pericolosità.
Nel primo caso, si effettua una stabilizzazione dei RCA, impiegando sostanze organiche o inorganiche capaci di determinarne una solidificazione tale da arrestare l'emissione di fibre, senza interessarsi della trasformazione cristallina. Dopodiché, si attuano l'incapsulamento e quindi il conferimento a discarica o altro, come più sopra si è indicato.
Da notare come nel ricordato D.lgs. siano fornite le modalità tecnologiche richieste dai trattamenti di cui forse la più rilevante, perché si riferisce all'innocuità più o meno spinta assunta dai RCA dopo gli stessi, è il cosiddetto "indice di rilascio" [ IR = (% Peso Amianto x Densità Assoluta)/(Densità Apparente x 100) ]. A questo proposito, il D.M. 248/04 prescrive che esso deve essere tenuto in considerazione solo per i materiali ottenuti da RCA stabilizzati con IR inferiore a 0,6, da conferire a discariche per rifiuti non pericolosi, e materiali ottenuti con trattamenti di RCA stabilizzati con IR uguale o superiore a 0,6, da avviare a discariche per rifiuti pericolosi.
Nell'altro caso, ci può essere un processo di carattere chimico avente la funzione di distruggere le fibre per mezzo di un forte attacco da parte di acidi o basi particolarmente aggressivi e concentrati e successiva neutralizzazione, allo scopo di rendere il prodotto riutilizzabile come inerte. Si tratta dell'utilizzazione di reagenti pericolosi, quali acido fluoridrico o soda caustica, a elevate temperature, che sono in grado di inertizzare completamente il materiale. Comprensibilmente, questi reagenti sono sostanze da usare con estrema cautela.
Oppure, un'altra forma di trattamento è di natura chimico-meccanica. Nello specifico, si effettua una macinazione del materiale tanto spinta da determinarne una amorfizzazione completa.
O, ancora, c'è un altro tipo di intervento, questa volta di carattere termico. Qui, l'elevatissima temperatura fonde i RCA, distruggendone la struttura fibrosa; indi, con un abbassamento controllato della temperatura, si ha una vetroceramizzazione, con un rilevante miglioramento delle caratteristiche di resistenza meccanica e chimica del prodotto finale.
Seguendo questi precetti, a cui forse possono unirsi altri, perché gli studi in tal senso non sono ancora conclusi, grazie alla mole di manufatti contenenti amianto ancora in circolazione, una buona parte dei materiali asbestosi può essere recuperata e riutilizzata vantaggiosamente nella formazione di clinker per il cemento, nella realizzazione di riempimenti, massicciate, nell'industria ceramica e del vetro, ecc., come si trattasse di una normalissima materia prima, secondaria in questo caso.