La lavorazione e il recupero delle sostanze organiche, per pervenire alla produzione di compost, che si fanno avvenire in impianti ad hoc costruiti, si possono classificare all'interno di due categorie: sistemi aperti, basati su trincee aerate, cumuli statici, cumuli rivoltati, ecc. e sistemi confinati, detti pure a recipiente chiuso, che possono essere rappresentati da contenitori, cubi e così via.
Nell'ambito di ogni categoria esiste, poi, tutta una gamma di soluzioni tecniche e di tipologie impiantistiche, sia a seconda che l'aerazione sia naturale o forzata, sia che il materiale in trattamento sia lasciato in quiete, sia rivoltato saltuariamente oppure continuamente. Indipendentemente dalla forma scelta per la produzione del compost, però, le fasi operative principali sono sempre in numero di tre cioè: deve essere una fase preliminare al trattamento vero ed proprio, vale a dire un pretrattamento; a questo segue una fase nella quale si verifica una trasformazione biologica delle sostanze interessate, che a sua volta è suddivisa in due sotto fasi, di biossidazione ed di maturazione, rispettivamente; infine, il processo è concluso con il complesso dei trattamenti primari.
Pretrattamento
Il pretrattamento si compone di tre passaggi successivi, sintetizzabili in ricevimento ed accumulo delle sostanze in arrivo, triturazione dei materiali più grossi, a base di cellulosa, miscelazione finale.
Solitamente, i materiali che pervengono all'impianto di compostaggio sono separati, stoccando quelli legnosi all'esterno e quelli organici umidi in sili chiusi, mantenuti in depressione per impedire la fuoriuscita di aeriformi maleodoranti, ma qui tenuti per il più breve tempo possibile e quindi avviati direttamente alla miscelazione. Per i materiali legnosi, che possono essere anche di dimensioni ragguardevoli (trattandosi di ceppi, rami, tavole, ecc.), si deve procedere alla triturazione per ridurli attorno ai 5 cm circa, ma non di meno, perché il cumulo deve essere tale da consentire il passaggio dell'aria, al fine di favorire la sua biossidazione nel suo interno. I macchinari adatti a effettuare la triturazione sono vari e come principio di funzionamento e come risultato offerto; ma la diversificazione maggiore si ha fra i grossi trituratori a bassa velocità (capaci di sminuzzare pezzi anche di grandi dimensioni, quali le ceppaie, per esempio) e le piccole macchine cippatrici, che possono essere facilmente trainate da un normale mezzo. Le macchine più utilizzate sono i veloci trituratori a martelli, muniti di un rotore orizzontale, su cui sono montati i martelli, appunto, in numero diverso a seconda del tipo che gira a un velocità tra i 1000 e i 2500 giri/min. Il materiale triturato è fatto passare attraverso una griglia su cui è montata un'elettrocalamita, che separa gli elementi magnetizzabili (chiodi, puntine, graffette, ecc.) dal resto. Le dimensioni delle macchine e la loro velocità fissano la produzione oraria. I macchinari destinati alla triturazione possono essere fissi oppure spostabili ovunque se ne richieda l'utilizzazione; cioè, la prima fase del trattamento di compostaggio può essere eseguita già nella sede di produzione dei rifiuti adatti. In questi casi, solitamente si tratta di macchine offerte a nolo a caldo o a freddo.
Il materiale triturato e la parte organica umida sono avviate alla miscelazione, avente lo scopo di omogeneizzare l'intera massa in trattamento e di far sì che la fermentazione avvenga egualmente nella stessa.
Nella massa in fermentazione devono essere rispettati alcuni parametri di fondamentale importanza. Innanzitutto, la densità apparente (primo parametro) deve essere contenuta sotto i 650 kg/mc, perché non deve essere tanto compatta da impedire il passaggio dell'aria, essenziale per la biossidazione aerobica, e perché deve consentire l'adsorbimento dell'umidità proveniente dalle frazioni organiche. Per ottenere questi risultati si deve dosare opportunamente la presenza delle sostanze legnose triturate (cortecce, rami, pallet, cassette, ecc.).
Importante è l'umidità (secondo parametro), che non dovrebbe mai discostarsi dall'intervallo compreso fra il 50 e il 60%: se l'umidità è più abbondante, si corre il rischio che ci siano compattazioni anomalie che impediscono il passaggio dell'aria, favorendo il passaggio della fermentazione da aerobica ad anaerobica, con la formazione e la liberazione di cattivi odori. In ogni modo, però, non ci si deve scordare che l'umidità è necessaria per facilitare l'azione dei batteri, per cui, se questa dovesse scendere sotto i valori segnalati, bisognerebbe intervenire con la fornitura di acqua per compensare quella perduta per evaporazione.
Un terzo parametro, assolutamente non trascurabile, è il rapporto carbonio/azoto (C/N), che si presenta come una problematica di difficilissima soluzione, a causa della scarsa presenza di azoto negli scarti derivati dalla raccolta differenziata; ciò perché il suo intervento è fondamentale per la crescita e la proliferazione dei microrganismi della fermentazione, ma, nel contempo, essa non può essere troppo elevata, in quanto, in caso contrario, si avrebbe la formazione di ammoniaca con dannosi risultati erosivi sui macchinari e sull'inquinamento ambientale grazie ai cattivi odori liberati. Il rapporto ottimale sarebbe quello fra 25 e 30. Pertanto, come si dovrebbe procedere? Se si impiegano sostanze legnose, l'umidità è mantenuta a un buon valore, però cresce il contenuto con carbonio, per cui il rapporto C/N cresce troppo; se si usano scarti di cucina e di verdure fresche, il rapporto è buono, però il contenuto in umidità diventa eccedente. Allora, bisogna intervenire con l'aggiunta di sostanze provenienti dall'esterno. Sperimentazioni portate avanti in questo senso suggeriscono di impiegare fanghi disidratati provenienti dalla depurazione di reflui civili o da industrie agroalimentari, che contengono un 7% di azoto, nella percentuale sul 20. Purtroppo, una tale scelta comporta la formazione di miasmi, per cui conviene far avvenire la prima fase della biossidazione all'interno di un capannone. L'operazione può avvenire con l'ausilio di una normale pala meccanica. Poi, si lascia al rovesciamento il compito di effettuare la miscelazione il più possibile omogenea, ricorrendo a macchine miscelatrici, di cui le più comuni sono a due coclee rotanti lente, a 10-20 giri/min., che riescono pure a rompere e sfibrare i sacchetti di plastica usati per la raccolta della frazione organica.
Trasformazione biologica
Come anticipato più sopra, la fase di trasformazione si suddivide in due sotto fasi, che sono di biossidazione e di maturazione.
Nella prima sotto fase si hanno processi biologici in successione nel tempo. Si inizia con l'attacco da parte dei microrganismi ai carboidrati e alle proteine, che si manifesta con un leggero aumento della temperatura. Si passa, quindi, all'azione eseguita da un'altra specie di batteri, ora predominante, che comporta un aumento di temperatura questa volta sensibile, per pervenire alla fine alla fase termofila, durante la quale si ha l'azione di funghi e di attinomiceti, con la quale la lignina è demolita unitamente alla cellulosa.
La legge italiana prescrive che la temperatura giunga almeno a 55°C e che essa si mantenga all'interno della massa in fase di ossidazione per non meno di tre giorni. Tale istanza è giustificata dal fatto che a tale temperatura i germi patogeni e i parassiti presenti sono rimossi.
Se si procede con il sistema dei cumuli rivoltati, la fase attiva deve essere mantenuta per circa un mese; questo è un tempo sufficiente affinché la massa sia fornita dell'ossigeno necessario ai microrganismi per compiere la loro missione, ricorrendo all'uso di macchine rivoltatrici, che capovolgono letteralmente il cumulo, spostandolo, o che si limitano ad agitarlo senza fargli cambiare posizione. L'ossigeno è fornito per rivoltamento, per soffiaggio, per aspirazione o combinando insieme il rivoltamento con il soffiaggio oppure, più raramente, con l'aspirazione.
Fra le macchine che spostano il cumulo ci sono le rivoltatrici a nastro trasportatore e quelle a rotori verticali. Le prime hanno un elevatore a tazze e nastri dentati che spingono il materiale su un nastro leggermente inclinato che lo trasporta nel punto in cui si vuole che si formi il nuovo cumulo. Si tratta di un unico complesso meccanico formato da un telaio semovente su ruote o su cingoli. Sono macchine che forniscono un‘ottima resa, potendo arrivare a 2000 metri cubi di materiale rimosso ogni ora che passa; i costi, però, sono elevatissimi, andando dagli 8.000 euro per i modelli trainati ai 200.000 di quelle semoventi. Le macchine a rotori verticali, solitamente non semoventi, bensì trainabili da trattori e dagli stessi azionate, sollevano il materiale con i denti che sugli stessi sono montati, lo depositano su un nastro trasportatore posto sulla parte opposta della macchina e lo deposita a formare un nuovo cumulo. La capacità lavorativa è inferiore a quella delle macchine precedenti, andando da 300 a 1.000 mc/h, però, questa volta, il costo è più contenuto, partendo da 70.000 euro; la macchina trattrice, naturalmente, è a parte.
La macchine rivoltatrici che operano senza spostare la massa sono costituite da un telaio a ponte, largo quanto il cumulo, fornito di denti, coclee o altre forme di attrezzature rotanti orizzontalmente, si spostano automaticamente o con l'aiuto di un trattore (che naturalmente deve restare al di fuori del cumulo stesso), prelevano il materiale in avanzamento e se lo gettano alle spalle. Il risultato del rivoltamento e dell'aerazione della massa è inferiore a quello offerto dalle macchine in precedenza ricordate, per cui si rende necessario provvedere a una ventilazione forzata; questa esigenza è priva di difficoltà: infatti, poiché l'operazione è basata sul mantenimento del cumulo nella stessa posizione, è consentita l'installazione di condotti di ventilazione entro cui spruzzare acqua per mantenere la necessaria umidità.
Con queste macchine si possono raggiungere i 5.000 mc/h e il costo può andare dai 10.000 euro per piccoli modelli trainati, ai 250.000 per quelli più grossi automaticamente motorizzati. I sistemi basati sul mantenimento della posizione del cumulo sono migliorati se lo stesso è mantenuto all'interno di una copia di muri paralleli, a formare una specie di trincea, mentre si fa muovere la macchina rivoltatrice. Oltretutto, è un sistema che abbastanza facilmente può essere automatizzato. Dopo la sotto fase della biossidazione, si passa a quella della maturazione che, però, non richiede il ricorso a macchine particolari: basta una pala meccanica con la quale si provvede alla formazione di cumuli e al loro rivoltamento; tale fase dura un paio di mesi. Durante questo periodo, avviene un abbassamento della temperatura, coincidente con la trasformazione di certe sostanze in altre fondamentali per la funzione del compost finale.
Trattamenti finali
Dopo la maturazione, il prodotto, prima di essere immesso sul mercato, deve essere ulteriormente depurato, facendolo passare attraverso diversi vagli aventi lo scopo di eliminare le particelle pesanti e inerti (quali vetro, sassi, ecc.) e leggere (quali pezzetti di plastica, ecc.), e sotto elettrocalamite necessarie per attrarre i materiali ferrosi.
I vagli comunemente usati sono a cilindro forato rotante, con asse di rotazione leggermente inclinato sull'orizzontale.
Il materiale si fa entrare nella parte più alta e, mediante la rotazione del cilindro nel cui interno sono risalti a spirale, la frazione più grossolana (i sovvalli) è costretta a uscire dalla parte più bassa. E' un materiale che può essere recuperato e riciclato più volte (anche tre o quattro), dato che è ricco in microrganismi e può servire come base per la fermentazione. Alla fine, però, il carico del materiale inerte diventa troppo elevato, per cui si rende consigliabile il suo conferimento a discarica.
Il materiale vagliato, che è il compost da commercializzare, è raccolto da nastri trasportatori e avviato all'imballo. La capacità produttiva va da 15 a 100 mc/h e i costi passano da 3.000 a 2.000 euro.
Vi sono pure i vibrovagli, formati da un piatto traforato o da una griglia vibrante alimentato dall'alto. Con le vibrazioni, i materiali fini passano attraverso i fori, mentre il sovvallo resta sul vaglio stesso. Sono meno produttivi dei precedenti, però sono più adatti se si vogliono fini qualitativamente superiori.