L'Europa ha dichiarato guerra all'inquinamento da plastica, cercando di mettere freno e rimedio ai danni che arreca all'ambiente
La plastica è stata il risultato di una ricerca lunga e complessa, che finalmente ha dato i suoi frutti: per la verità, anche troppi! E' partita in sordina, piano piano e, come si dice, è entrata di sguincio per porsi risolutivamente di piatto in tutti, o quasi, i settori dell'umana attività. Con poco più di mezzo secolo di vita, ha conquistato la quotidianità ed è assolutamente impensabile metterla fuori legge, giacché ormai non si può più restare senza, sempre che non si voglia complicare la vita dell'uomo. Il suo uso, da capriccio iniziale per la novità, si è trasformato in una necessità vera e propria e fa meditare, per un attimo, a com'era la vita senza e a come la stessa oggi sia stata facilitata. La plastica è utile, comoda, entra un po' dappertutto: nell'industria meccanica, tessile, elettrica, elettronica, nella sanità, nelle case, ovunque c'è il suo zampino. Il punto dolente, però, è qui: la plastica ha il pregio-difetto di essere in pratica indistruttibile, con la sua resistenza contro funghi, microrganismi, animali, sostanze aggressive varie, urti, ecc.; i guai iniziano, sfortunatamente, quando giunge alla sua fine vita attiva generalmente troppo breve, cioè alla sua eliminazione, come, per esempio, avviene con gli imballaggi, che una volta svuotati, diventano subito inutili e si trasformano in un seccante terzo incomodo. Ecco che, allora, la gente si libera dagli oggetti di plastica, chi in modo corretto attraverso lo smaltimento differenziato e chi, al contrario, abbandonandola nelle discariche o dovunque capita. In questo secondo caso, si formano cumuli di plastica un po' dappertutto, sempre più invadenti anno dopo anno, talora volumetricamente difficili da ignorare, che deturpano il paesaggio, senza parlare della liberazione delle pericolose microparticelle che sono inghiottite dai pesci e che, alla fine, si trovano a far parte della dieta umana, entrando in processi vitali con conseguenze pesanti per la salute a causa della presenza di sostanze tossiche. Da non dimenticare, poi, l'inquinamento del mare dove la massa di oggetti di plastica, definita da alcuni come "zuppa", ha invaso l'intero Pianeta Terra. Tanto per fare un esempio dello stato di degrado raggiunto dal mare, si può qui ricordare che recentemente nella città indiana di Mumbai, una mareggiata ha rimandato al mittente tutta quella porcheria di cui la gente della megalopoli tenta di disfarsi, "smaltendola" nel Mare Arabico.
Ciò che fa riflettere, tuttavia, non è tanto lo sviluppo che ha avuto la produzione di plastica, giacché essa consente di produrre un'infinità di oggetti che, in altri tempi, era assolutamente impensabile; piuttosto il fatto che si continui a produrre usando plastica vergine, invece di recuperare oggetti non più utilizzabili che consentirebbero un risparmio nella produzione e conterrebbe l'inquinamento. In breve, sarebbe il momento giusto - be', lo sarebbe già stato da qualche tempo - per dire, come si fa con tanti altri materiali destinati all'esaurimento (vedi le risorse minerarie), basta con il ricorso a plastica nuova e sì al recupero di quella usata, dando in tal modo un energico colpo di spugna agli sprechi.
L'Europa, da parte sua, ha dichiarato guerra all'inquinamento da plastica. In ogni caso, sono molti i Paesi dell'Unione che ritengono un fatto positivo e corretto il procedere, cercando di mettere freno e rimedio ai danni arrecati all'ambiente da questa realtà e alla sua dispersione ovunque capiti. I propositi sono condivisibili, quando ci si riferisca al materiale plastico passibile di riciclo, eliminando i manufatti monouso e togliendo dal mercato del settore le cosiddette microplastiche.
Le indicazioni europee puntano il dito sulla produzione e distribuzione esagerate di bottiglie di acqua minerale (anche perché certe acque provenienti dagli acquedotti hanno proprietà organolettiche migliori), di flaconi contenenti prodotti per la casa, di contenitori inutili e magari sovradimensionati per frutta e verdura, tanto per fare qualche esempio. In alternativa, ci si dovrebbe orientare verso prodotti biodegradabili, così com'è stato fatto con le buste riutilizzabili, i piatti e i bicchieri monouso, ecc.
E allora, per evitare tutto questo pasticcio, come ci si può muovere? Una prima soluzione potrebbe essere quella di indurre l'utente a restituire la plastica usata, così da recuperare la cauzione lasciata al momento dell'acquisto, ed evitare di abbandonarla nell'ambiente: era un metodo usato anni fa con i contenitori di vetro. Sicuramente, migliorare e potenziare la raccolta differenziata sarebbe un'ottima scelta, anche se si tratta di un procedimento di difficile attuazione data l'estrema varietà con cui la plastica è immessa sul mercato; si possono citare il polietilene, il polipropilene, il polivinilcloruro, il polistirene tanto per ricordare qualche tipo di plastica. Qualora finiscano per essere mescolati e per evitare una mescolanza fra le loro caratteristiche qualitative specifiche, non resta altro che provvedere alla loro distruzione ma, in questo modo, si contribuisce all'inquinamento dell'ambiente non più come plastica, bensì come emissione di gas serra e di altri inquinanti, giacché si tratta di un prodotto derivante dal petrolio.
Per tutto ciò, mentre da un lato si deve orientare la produzione verso oggetti di plastica biodegradabile, dall'altro si deve immettere sul mercato un prodotto che abbia una vita maggiore, caratterizzata da una durata che osteggi la pessima abitudine dell'utenza di applicare il cattivo metodo dell'"usa e getta". In fin dei conti, non si può dire che il consumatore sia esente da colpe per ciò che sta avvenendo, specialmente se dimostra di non possedere una sensibilità che gli suggerisca un comportamento virtuoso, nondimeno egli è l'ultimo gradino dell'intera faccenda a monte ci si deve dar da fare per mettere in circolazione oggetti di lunga durata in plastica biodegradabile, di grande uso, ed evitare il commercio di ciò che è inutile. Infine, non sarebbe male dare la possibilità al consumatore di "capire" come la plastica da smaltire debba essere differenziata, per favorirne la riciclabilità.