I prodotti di scarto della lavorazione di pietre lapidee oggi recuperati
Nelle lavorazioni delle pietre lapidee nelle cave e soprattutto all'interno dei laboratori di trasformazione, gli scarti si riducono semplicemente a due tipi: essi sono il cocciame e i fanghi che derivano dalle acque di lavorazione. Tutto questo salvo che le lavorazioni non abbiano richiesto, per le loro particolarità esecutive, l'uso di sostanze chimiche o di materiali metallici; nel qual caso, gli scarti devono seguire un percorso del tutto diverso, che esula dal discorso che si sta facendo.
Per cocciame s'intende tutto il complesso di sfridi di materiale lapideo che derivano dal taglio di blocchi e di lastre, unitamente ai resti del cemento appartenenti ai pannelli usati per sostenerli nella fase del taglio stesso.
Questo materiale un tempo era parcheggiato, in forma provvisoria, al di fuori del laboratorio, in attesa di essere smaltito nelle discariche per rifiuti non pericolosi, senza nessuna possibilità di recupero: un materiale veramente ricco seppellito definitivamente in un cimitero... a memoria delle attività umane di oggi per le generazioni future.
Alla fine, si è capito a che cosa si rinunciasse, e oggi gli scarti dei lapidei sono quasi interamente recuperati. In effetti, non c'è dimensione o forma che non possa trovare la sua giusta utilizzazione: dalle scogliere artificiali posate a difesa delle coste contro la violenza delle mareggiate alle massicciate ferroviarie e stradali; dai riempimenti vari alla preparazione di granulati con le dimensioni diametrali dei costituenti adatte alle varie richieste; dalle polveri da usare in cosmetica o medicina a quelle da spandere nei campi al fine di ridurre l'acidità del terreno; e ancora recupero in edilizia dalla formazione di conglomerati quale materiale inerte alla realizzazione di pavimentazioni e di sottofondi vari. In sostanza, si è passati dal rifiuto nel vero senso del termine a tutto quanto è recuperabile. Il commento di un norcino potrebbe essere che gli sfridi lapidei sono come il suino, del quale nulla si butta.
L'altro tipo di scarti è costituito dai fanghi derivanti da segagione, molatura e lucidatura delle pietre a natura calcarea, quali sono i marmi in genere, siano essi bianchi o colorati, e i calcari compatti.
La segagione e il taglio sono affrontati con lame su telai pendolari, dischi e vari utensili diamantati, senza l'intervento di nessun tipo di prodotti chimici e, se non si sono aggiunte sostanze estranee che in certe lavorazioni sono indispensabili, gli scarti hanno la stessa natura della roccia da cui derivano, con un contenuto in calcare sempre superiore all'ottantacinque per cento.
Per tutto questo, ad esempio, i fanghi sono da considerare ideali quali ottimi leganti da unire ai rifiuti di costruzione e demolizione nella produzione di stabilizzati oppure possono essere utilizzati nelle centrali termoelettriche per combattere l'acidità dei fumi.
La loro formazione è legata al fatto che le macchine utensili adoperate nelle varie fasi della lavorazione intaccano il materiale lapideo, asportandone piccole porzioni, e operano a umido per questioni di carattere tecnologico e igienico.
Gli utensili nel corso del taglio si surriscaldano per cui devono essere raffreddati con l'acqua per evitare che si deteriorino troppo in fretta e nello stesso tempo essa funziona come lubrificante; ed è questa la ragione tecnologica. L'altra ragione, cioè quella igienica, riguarda l'abbattimento della polvere che, com'è ben noto, col trascorrere degli anni, si può ammassare nei polmoni innescando grossi problemi alla respirazione dei lavoratori.
Da ciò consegue chiaramente che il consumo di acqua per attuare questo processo è molto elevato, per cui spetta alle imprese dotarsi di sistemi di trattamento e di riciclo delle acque che hanno lavorato, cercando di ridurre al minimo le perdite sia per questioni economiche, sia perché le acque che sfuggono al controllo, se finiscono nei corpi idrici superficiali o sotterranei, li inquinano, e l'ambiente ne risente sfavorevolmente.
Una prima soluzione può giungere dalla costruzione di vasche di decantazione o di sedimentazione verticale, che sono in grado di produrre acqua depurata da un lato e fango semiliquido, con sostanza secca per circa un venti per cento, dall'altro. Ricorrendo, però, all'utilizzazione di filtropresse, come si segnala in certi impianti più avanzati, si ha la filtrazione dell'acqua, mentre i fanghi sono compattati, tanto che alla fine il loro tenore di secco può raggiungere il settanta per cento. L'acqua depurata è recuperata e rimessa in ciclo, mentre la parte, che è andata perduta per evaporazione o perché è rimasta imprigionata nel fango, logicamente è reintegrata quando se ne mostri la necessità.
Sinora si è parlato di pietre calcaree, ma sono molto importanti anche le pietre silicee, fra le quali è apprezzabile soprattutto il granito anche perché presenta caratteristiche di resistenza superiori a quelle del marmo. In questo caso, però, il taglio è eseguito con lame di acciaio aiutate, nel loro lavoro, da limatura metallica mescolata a calce o bentonite, che agisce da lubrificante nel funzionamento alternativo sui telai pendolari. I fanghi che ne derivano possono essere utilizzati in agricoltura.
Non è ozioso spendere due parole in merito alla stuccatura e alla resinatura. La prima è un'operazione che serve per riparare i difetti dei manufatti, cioè le fratture, le incrinature, i vuoti, i pori, ecc., lasciando la superficie perfetta. La seconda consente di mantenere intere le lastre molto sottili (3-4 mm di spessore), la cui rottura avrebbe conseguenze molto pesanti dal punto di vista economico; in questo caso, si fa aderire alla faccia non lucidata, cioè quella che nella posa va a contatto con la muratura che s'intende rivestire, una rete di materiale plastico, fissandola per mezzo di resine epossidiche.
Questo è lo stesso metodo messo in pratica quando si ha che fare con le brecce, cioè con quei calcari non metamorfosati, dove i clasti sono tenuti insieme da calcare lasciato dalle acque di scorrimento e il fissaggio non è sempre affidabile. Chiaramente, in questo caso, i fanghi sono inquinati e devono essere adeguatamente smaltiti. Lo stesso si deve dire per quei fanghi che provengono dalla segagione e dalla lucidatura e che contengono tracce di diversi metalli pesanti derivanti dall'usura degli utensili o dalla graniglia abrasiva esausta, nell'ipotesi che il materiale lavorato sia granito; ed essi, che com'è noto, sono pericolosi.
I fanghi solitamente sono conferiti a enti al servizio delle cave regolarmente autorizzati che provvedono a raccoglierli con autobotti e a smaltirli secondo i dettami previsti dalla legge. Ed è giusto questo procedimento, perché tali fanghi sono pericolosi.
Un calcolo approssimativo, ma sicuramente non molto lontano dalla realtà, valuta che un 25% del peso iniziale del blocco in entrata nel laboratorio alla fine si trovi allo stato polverulento. In concreto un quarto del peso di partenza se ne va in scarto e ovviamente questo rilievo fa capire che il problema non è poi tanto facile da affrontare e da risolvere.
I prodotti della lavorazione che, come si è detto all'inizio, sono il cocciame e i fanghi, qualora non si individui qualche modo di utilizzarli (anche se sembra pressoché impossibile, salvo qualche caso particolare), sono conferiti a discariche di Seconda Categoria A riservate a rifiuti inerti), sempre che siano palabili e con contenuto in acqua non superiore al 35%, al fine di garantire la stabilità del deposito in cui sono ammassati. Se ai fanghi si concede un qualche tempo di riposo, allora tendono a migliorare sia le caratteristiche di spalabilità sia quelle di stabilità e tutto questo grazie alla carbonatazione che avviene a seguito dell'intervento dell'anidride carbonica.
Gli sfridi dei conglomerati, che del resto sono solo una piccola porzione rispetto all'intera produzione di rifiuti di una certa zona, poiché contengono polistirene e stirene nella percentuale di circa il 10 o 15, devono essere conferiti a discariche di Seconda Categoria B (autorizzate per rifiuti pericolosi).