Decontaminazione passiva di terreni contaminati con PFAS mediante geocompositi attivi
Per molti decenni, le sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) sono state utilizzate nelle schiume antincendio usate in aeroporti e siti militari, oltre che in numerosi processi industriali. Di conseguenza, ad oggi, grandi quantità di terreni e di acque sotterranee sono contaminate dai PFAS. Nel caso in cui questi siti contaminati vogliano essere riutilizzati, deve necessariamente essere definito un piano per il trattamento del suolo contaminato scavato. Le attuali normative sullo smaltimento dei rifiuti prevedono che tali terreni vengano conferiti in discarica. Tuttavia, il trasporto e lo smaltimento di enormi quantità di terreno rendono poco sostenibili tali progetti sia dal punto di vista economico che ambientale. Nell'ambito di una struttura aeroportuale è stato progettato un "cumulo di decontaminazione", che sarà oggetto di approfondimento nel presente articolo, il cui obiettivo è stato quello di trattare il terreno in modo passivo, cioè senza l'utilizzo di alcuna manodopera, energia o acqua. Per la dissoluzione dei PFAS dal terreno sono state infatti utilizzate solo le precipitazioni naturali. Alla base dell'area di stoccaggio è stato posizionato un materiale permeabile all'acqua ma in grado di filtrare i contaminanti. Questo geocomposito è costituito da due geotessili, tra cui è contenuto uno strato di materiale sorbente attivo ad elevate prestazioni che estrae i PFAS dall'acqua di lisciviazione.
Per realizzare un filtro per i contaminanti di lunga durata è necessario considerare quattro fattori che ne determinano le prestazioni:
a) affinità, b) cinetica, c) capacità, d) irreversibilità.
L'affinità descrive la tendenza del sorbente ad assorbire o adsorbire certe tipologie di inquinanti. La cinetica del sorbente determina se sia possibile ridurre le concentrazioni di contaminanti al di sotto della soglia minima richiesta mentre le infiltrazioni percolano attraverso il filtro a una velocità di flusso naturale. La capacità del sorbente deve essere superiore al prodotto dell'altezza massima del cumulo, della concentrazione di PFAS nel terreno, tenendo anche in considerazione un fattore di sicurezza appropriato. L'irreversibilità impedisce il successivo desorbimento e consente quindi il contenimento degli inquinanti a lungo termine in maniera sicura.
In questo articolo vengono presentati e discussi questi fattori prestazionali e quale sia la loro influenza sulla progettazione di un intervento di decontaminazione.
1. Opere realizzate con terreno contaminato
Alcune tipologie di strutture, come le barriere antirumore, i rilevati infrastrutturali o i riempimenti per aree commerciali e industriali, vengono sempre più spesso costruite con materiali da costruzione riciclati per un risparmio di tipo economico e ambientale (minore utilizzo di cave, riduzione dei trasporti, ecc.). Quando si utilizzano materiali riciclati, questi devono essere progettati e valutati in modo da non contaminare né il suolo né le acque sotterranee. In Germania, la possibilità di riutilizzare terreni contaminati è legata alla concentrazione di contaminante nell'eluato e in caso di concentrazioni elevate, sono necessarie specifiche misure di sicurezza. Nella Linea guida per la valutazione dei PFAS del Ministero Federale dell'Ambiente tedesco (BMUV, 2022) vengono definite le concentrazioni massime ammissibili per i PFAS nell'eluato. Questi valori determinano una classe di riutilizzo (RC), che a sua volta determina la possibilità di riutilizzo e/o le misure di sicurezza da adottare.
La suddivisione in tre classi deriva dalla considerazione che la concentrazione di inquinante presente nella nuova struttura verrà, nel tempo, trasportata anche nel sottosuolo. In caso di basse concentrazioni, è possibile un riutilizzo senza restrizioni in quanto il sottosuolo è esposto solo a un basso/nullo rischio di contaminazione. Nel caso di elevate concentrazioni, per evitare il trasporto del contaminante nel sottosuolo, la soluzione oggi utilizzata è l'incapsulamento del suolo contaminato mediante un capping impermeabile. Con le nuove tecnologie, come i geocompositi attivi, è possibile un utilizzo senza restrizioni anche se le concentrazioni nell'eluato sono in classe RC 3 o addirittura superiori. Il percolato contaminato viene filtrato dal geocomposito attivo riducendo la concentrazione di inquinanti al livello RC 1 prima di continuare a percolare nel sottosuolo, così come mostrato nella Figura 1.
Oltre alla protezione delle acque sotterranee, il vantaggio di questa soluzione è la progressiva decontaminazione del terreno. L'infiltrazione dell'acqua piovana nell'opera in terra dissolve i PFAS e il percolato si "carica" così delle sostanze inquinanti e le trasporta al geocomposito attivo. Per eliminare il problema dell'ingresso di inquinanti nel sottosuolo, è necessario dimostrare e garantire l'efficace rimozione dei contaminanti e il legame a lungo termine dei PFAS con il geocomposito attivo. Per soddisfare questi requisiti sono stati eseguiti test approfonditi sui geocompositi attivi progettati per questa applicazione.
2. Geocompositi attivi
I geocompositi attivi sono costituiti da due geotessili tessuti e/o nontessuti che fungono da involucro per contenere e stabilizzare in modo permanente il materiale sorbente attivo e quindi per poterlo facilmente posare in sito garantendo la presenza di una quantità uniforme e omogenea di materiale attivo su tutta l'area interessata. Tutti gli strati sono uniti mediante agugliatura o cucitura, il che impedisce l'erosione interna del materiale attivo, granulare o in polvere. Inoltre, i due geotessili svolgono anche una funzione di separazione degli strati di terreno. La selezione dei geotessili più adeguati consente di determinare un tempo di contatto ottimale, un dato di importanza fondamentale per il trattamento del percolato. Il nucleo del geocomposito è composto da uno strato sorbente attivo in grado di rimuovere i PFAS dal percolato in maniera estremamente efficace. Dal momento che le proprietà del percolato sono uniche e specifiche per il singolo progetto, si raccomanda di scegliere i materiali attivi più efficaci in base alle singole esigenze progettuali.
Per la loro progettazione si devono considerare quattro fattori prestazionali:
a) Affinità: forte tendenza a rimuovere i PFAS a catena lunga e corta;
b) Cinetica: capacità di rimuovere tutti i PFAS al di sotto delle soglie previste tenendo conto della velocità del percolato;
c) Capacità: grande quantità di inquinanti assorbiti in un determinato periodo di tempo;
d) Irreversibilità: legame tra materiale attivo e i PFAS non invertibile da processi naturali.
Un geocomposito attivo può essere definito tecnicamente efficace se una forte affinità e un breve tempo di contatto determinano un'elevata percentuale di rimozione dei contaminanti. Se allo stesso tempo è caratterizzato da un'alta capacità e un forte legame, il geocomposito risulta essere anche economicamente efficiente in quanto avrà una lunga vita utile. Questi parametri e le loro interdipendenze sono stati analizzati in prove di laboratorio e in campo per capire l'efficacia e l'efficienza.
3. Risultati di prove di laboratorio e in campo
3.1 Prove di laboratorio
Per determinare i fattori prestazionali, un laboratorio indipendente è stato incaricato di eseguire un ampio programma di prove. Inizialmente sono stati eseguiti test in cui il materiale attivo e il percolato sono stati a contatto per un lungo periodo di tempo. Questo ha permesso di capire l'affinità tra materiale attivo e i diversi tipi di PFAS: il percolato conteneva PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFPeS, PFHpA, PFOA, PFHxS, PFOS e altri, e le singole concentrazioni sono variate all'interno del range 0,1 µg/l - 10 µg/l per singola tipologia. Soprattutto alle concentrazioni più elevate, è stato osservato un elevato assorbimento di tutte le sostanze fino al 99,9%, come mostrato nella Figura 2.
Oltre all'affinità, è stata ottenuta una prima valutazione della cinetica: è emerso che non solo la capacità ma anche la cinetica varia in funzione della concentrazione. A concentrazioni di 10 µg/l, è stata rilevata una forte rimozione di tutti i PFAS nell'eluato entro i primi cinque minuti (la minima durata possibile delle prove eseguite). Si stima comunque che circa il 90% del trattamento avvenga entro i primi due minuti. A concentrazioni inferiori, si nota che per alcuni congeneri è necessario un tempo di contatto più lungo.
Poiché i test iniziali hanno confermato l'aspettativa di un'elevata efficacia, nella fase successiva sono stati eseguiti test in colonna. In questi test, al liquido di prova sono stati aggiunti sei acidi solfonici e carbossilici a catena lunga e corta con concentrazioni estremamente elevate (1.000 µg/l) al fine di determinare la capacità massima. Il test è stato terminato dopo che 7.000 µg/g di PFAS erano stati rimossi da parte del sorbente senza che ci fosse alcun breakthrough (capacità massima non raggiunta). Sulla base di questo esperimento, confermato poi da risultati di test condotti in altri laboratori, si può ipotizzare una capacità del sorbente di 20.000 µg/g o più in presenza di concentrazioni molto elevate. In caso di basse concentrazioni, la capacità prevista è corrispondentemente più bassa e quindi, per una progettazione corretta, è necessario conoscere sempre l'esatta concentrazione nell'eluato.
Per la progettazione di opere in terra con un geotessile attivo filtrante alla base è necessario conoscere anche l'eventuale riduzione di efficacia in funzione della quantità di PFAS già assorbiti.
Nella Figura 3, la linea verde rappresenta una rimozione teorica del 100% di tutti i PFAS disciolti. La linea arancione mostra l'effettiva rimozione registrata nei test. I risultati mostrano che l'efficacia è superiore al 99% fino a quando non vengono assorbiti i primi 110.000 µg di PFAS. In seguito, mentre la concentrazione rimane costante, si verifica una certa saturazione e di conseguenza l'efficacia diminuisce. Dopo circa 250.000 µg di PFAS rimossi, l'efficacia risulta essere circa del 75% (tale livello corrisponde ad una capacità di 7.100 µg/g). Anche al di sopra di tale valore il limite di capacità non è stato raggiunto, per cui la capacità stimata di 20.000 µg/g sembra possibile, ma con un calo dell'efficacia. È stata infine studiata l'irreversibilità, cioè il potenziale desorbimento del sorbente. A tal fine, il materiale attivo saturato di PFAS è stato posto in un contenitore con acqua deionizzata per un periodo totale di due mesi e agitato continuamente. In questo modo, si è potuto verificare se i PFAS possano venire rilasciati dopo l'assorbimento. Il tasso di desorbimento è risultato inferiore allo 0,1%, e quindi il legame tra sorbente e contaminante è estremamente elevato.
3.2 Prove in campo
Il successo dei test di laboratorio è stato confermato da prove in campo con terreni contaminati da PFAS provenienti da un'ex base aerea statunitense in Germania, condotti da HUESKER e CDM Smith. Sono stati simulati tre diversi eventi piovosi ed è stato studiato il loro effetto sulla mobilitazione dei PFAS e l'efficacia dei geocompositi attivi. Alla base di contenitori in HDPE da 1 m3 aperti sul lato superiore sono stati posati il geocomposito attivo Tektoseal Active PFAS e uno strato di 70 cm di sabbia limosa contaminata. È stato anche utilizzato un contenitore senza geocomposito attivo al fine di effettuare un test di controllo di funzionamento del sistema. Il percolato prodotto durante le rispettive simulazioni di pioggia è stato raccolto e analizzato. Le quantità d'acqua sono state determinate in base alle definizioni di pioggia moderata, intensa ed estremamente intensa secondo il Servizio meteorologico tedesco (Deutscher Wetterdienst, DWD):
• evento di pioggia 1: pioggia moderata con 10 l/m2 in 60 minuti;
• evento di pioggia 2: pioggia intensa con 30 l/m2 in 60 minuti;
• evento di pioggia 3: pioggia estremamente intensa con 50 l/m2 in 60 minuti.
Le simulazioni degli eventi piovosi hanno sempre portato a una mobilitazione dei PFAS dal terreno. I livelli di PFAS nel percolato erano in media di circa 3-5 µg/l, così come emerso dai risultati del contenitore di controllo (senza geocomposito attivo). Indipendentemente dall'evento di pioggia simulato, non sono stati rilevati PFAS nel percolato dopo la filtrazione da parte dei geocompositi attivi Tektoseal Active PFAS.
I valori riportati nella Figura 4 mostrano il risultato di una pioggia estremamente intensa (evento di pioggia 3).
4. Progettazione delle opere con terreno contaminato
Sulla base dei dati ottenuti dai test, è quindi possibile progettare opere realizzate con terreni contaminati. Per calcolare se il geocomposito attivo sia in grado di funzionare efficacemente come filtro, sono necessarie informazioni sul tempo minimo di contatto e sullo spessore dello strato di sorbente. Da questi parametri si può ricavare la massima quantità di percolato che il sistema è in grado di filtrare. Finken et al. (2019) hanno utilizzato un modello di flusso numerico per calcolare la quantità di percolato per diverse opere in terra in base alle caratteristiche dei terreni e al tasso di infiltrazione. Confrontando le velocità di percolazione nel rilevato stradale di Figura 5 con il flusso massimo ammissibile attraverso il filtro, emerge che la velocità di percolazione è circa 68 volte inferiore alla velocità necessaria per una rimozione significativa dei PFAS da parte del geocomposito attivo, ovvero quella che garantisce un tempo di contatto sufficiente tra contaminante e sorbente. L'elevato livello di sicurezza consente l'utilizzo della soluzione in ogni tipologia di terreno.
Per valutare la durata del geocomposito attivo è anche necessario determinare quale sia la sua vita utile. Per effettuare tale calcolo si è utilizzata una concentrazione di 10 µg/l di PFAS totali e una quantità media annua di percolato all'interfaccia tra lo strato di suolo contaminato e il sottosuolo di 260 l·m2/anno. Anche la quantità di percolato è stata ricavata da Finken et al. (2019) per la struttura illustrata nella Figura 5 e si basa su una precipitazione annuale di 859 mm/anno, tenendo conto sia dell'evaporazione che del deflusso superficiale.
Come descritto nel capitolo 3.1, per alte concentrazioni di PFAS si ottiene una forte efficacia (quasi il 100%) fino a una capacità di circa 2.800 µg/g. Tuttavia, poiché la concentrazione di 10 µg/l è molto inferiore a quella dei test, la capacità sarà di conseguenza più bassa. Sulla base di dati empirici, la capacità per basse concentrazioni è stimata prudentemente in 6-7 volte inferiore. Ciò porta a una capacità reale di 400 µg/g con un'efficacia quasi del 100%. Dal momento che è molto probabile che anche altri contaminanti organici disciolti vengano assorbiti dal materiale sorbente attivo, la capacità totale non è disponibile per i soli PFAS. Per tenerne conto, si applica un fattore di sicurezza pari a 4 e, di conseguenza, solo il 25% della capacità totale è disponibile per l'assorbimento dei PFAS. Considerando un geocomposito attivo con 2.000 g/m2 di materiale attivo sorbente, la vita utile del filtro contaminante può essere conseguentemente stimata in 88 anni. Questo risultato non tiene però conto del fatto che la concentrazione di PFAS possa diminuire nel corso degli anni a seguito della loro lisciviazione da parte dell'acqua piovana. Nel caso in cui la concentrazione diminuisse ad un valore di 9 µg/l dopo 30 anni, l'aspettativa di vita aumenterebbe fino a 95 anni.
5. Conclusioni
L'ampia diffusione dei PFAS nel suolo, dovuta alla loro facile solubilità, e le normative vigenti in materia di rifiuti fanno sì che, nell'ambito di bonifica di siti contaminati, grandi quantità di terreno da scavo debbano essere smaltite in discarica o trattate ex situ. Il riutilizzo del suolo contaminato rappresenta una soluzione per evitare costi di smaltimento e di trasporto su lunghe distanze. Tuttavia, nel caso in cui si procedesse con l'impermeabilizzazione di queste strutture, si andrebbero a realizzare delle discariche in cui gli inquinanti rimangono in modo permanente. I geocompositi attivi rappresentano una nuova misura di contenimento e trattamento dei contaminanti quando posati alla base di opere in terra, andando a svolgere una funzione di filtro permeabile. I geocompositi attivi fungono da barriera ai contaminanti, ma non al percolato. In questo modo, il percorso naturale dell'acqua viene mantenuto proteggendo al tempo stesso il sottosuolo. Poiché le opere realizzate in questo modo non sono impermeabilizzate, le precipitazioni lisciviano i PFAS nel corso del tempo e li convogliano verso il filtro. È necessario, pertanto, garantire che il filtro rimuova efficacemente le sostanze (ovvero le riduca al di sotto della soglia massima ammissibile) e le leghi in modo permanente. Il sorbente attivo presentato in questo articolo ha dimostrato ottime proprietà in tutti i test eseguiti. Per verificarne l'efficacia nell'ambito di opere permanenti, è possibile realizzare dei pozzi di monitoraggio puntuali. Esistono inoltre sistemi di analisi dell'eluato basate su sensori che possono facilitare il monitoraggio del funzionamento del geocomposito attivo posato alla base dell'opera realizzata con terreno contaminato.
Bibliografia
[BMUV] Federal Ministry for the Environment, Nature Conservation Nuclear Safety and Consumer Protection. 2022. Guidelines for PFAS assessment. Berlin. Germany.
Finken, M.; Susset, B.; Grathwohl, P. 2019. Evaluierung der Bewertungsverfahren im Kontext mit der Verwertung mineralischer Abfälle in/auf Böden, Teil II: Modellierung der Stoffmigration und Erarbeitung eines DV-gestützten Leitfadens Stofffreisetzungsverhalten mineralischer Abfälle. On behalf of the German Environment Protection Agency.